Patrimonio culturale, una strategia per lo sviluppo

Patrimonio culturale, una strategia per lo sviluppo

Patrimonio culturale, una strategia per lo sviluppo

Il quotidiano “Il Messaggero” ha pubblicato domenica 13 maggio un intervento a firma congiunta Roberto Grossi e Aurelio Regina. Ne riportiamo il testo.
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta con il suo discorso programmatico ha ottenuto la fiducia non solo del Parlamento, ma anche di gran parte degli italiani. Ha presentato un Paese finalmente proiettato in avanti, sottolineando il vero potenziale dell’Italia: il patrimonio culturale, l’arte e il turismo, insieme alla ricerca, alla green economy e alla formazione dei giovani. Anche nei giorni scorsi lo stesso Letta ha annunciato “niente tagli a cultura e ricerca”.
Insomma, nei primi atti ufficiali di indirizzo politico, la cultura sembra entrare tra i temi prioritari dello sviluppo. E’ un’apertura importante che però dovrà essere rafforzata e concretizzata da alcune decisioni coraggiose di riforma e da azioni che non possono più attendere.
Quelle “scelte da troppo tempo non fatte” dai governi, come ha ricordato più volte il Presidente Napolitano, e che viceversa hanno accompagnato i programmi per la crescita del Paese nell’immediato dopoguerra. De Gasperi nel 1946 inaugurò il Teatro alla Scala di Milano dicendo: “Abbiamo lavoro e cultura e da qui possiamo ripartire”. Così si alfabetizzò l’Italia, il teatro e il cinema raccontarono un paese in profondo cambiamento e lo Stato investiva nel settore lo 0,8% del Pil. Dopo quasi 30 anni, il 2 dicembre 1974, nella seduta d’investitura di fronte al Parlamento il Presidente del Consiglio Aldo Moro comunicò la scelta di istituire il Ministero per i Beni Culturali che venne affidato ad un politico di primo piano come Giovanni Spadolini.
Il governo Prodi nel 1998 aggiunse le attività culturali alle competenze del Ministero, ampliandone così l’intervento dalla tutela del “bene pubblico” alla produzione artistica e all’industria culturale. Al rinnovato interesse fece seguito anche un incremento storico di bilancio per la cultura, nell’ottica della legislatura, su richiesta dell’allora ministro Veltroni, da 1.700 miliardi di lire del 1995 a 4.000 miliardi nel 2000. Fu un picco assoluto. Da allora l’intervento statale per la cultura è andato sempre calando fino ai 1.500 milioni di euro di oggi che rappresentano solo lo 0,2% del bilancio complessivo dello Stato e lo 0,11% del Pil. Neanche la metà della quota investita dalla Grecia nel 2012 (0,26% del Pil). Insomma, oggi lo Stato spende per la cultura la cifra ridicola di 25 euro l’anno per ogni italiano.
Ora il nuovo governo ha accorpato il turismo alla cultura. Scelta intelligente, da noi invocata con forza, che va nella direzione dell’integrazione delle politiche dei due settori, per fermare la caduta della competitività turistica e dell’attrattività dei nostri luoghi. Sappiamo, infatti, che negli anni recenti abbiamo perso significative quote di mercato passando dal primo posto nella classifica dei paesi più visitati al mondo al quinto, superati da Spagna, Cina. Stati Uniti e Francia, e che l’immagine del paese è sempre meno competitiva, come certifica il crollo dell’Italia alla quindicesima posizione nel Country Brand Index 2013. Addirittura Berlino ha sorpassato Roma per numero di turisti.
Le prossime azioni del governo e del ministro Bray in particolare dovranno rispondere, dunque, ad alcune domande essenziali: come tutelare l’enorme ricchezza dei beni culturali, anche immateriali; come accrescere la fruizione culturale, ancora così bassa da parte dei cittadini; come aumentare la competitività e l’efficienza delle strutture di gestione e produzione; come rilanciare l’attrattività turistica dei nostri territori.
Sogniamo un Ministero che sia un centro di coordinamento, autorevole e anche snello nelle politiche e competenze assegnate, ma che dialoghi e operi con gli altri ambiti di governo, come gli Esteri e lo Sviluppo economico e con Regioni ed enti locali e che, finalmente, sia in grado di attivare, abbandonando logiche di contrapposizione, una concreta collaborazione con gli operatori, le imprese, la società civile. Tutto ciò dovrà essere accompagnato, questo sia ben chiaro, da una politica di reale incentivazione fiscale all’intervento delle imprese e dei privati. Il crollo delle sponsorizzazioni culturali scese al minimo storico di 150 milioni nel 2012 e l’inconsistenza delle donazioni a favore dell’arte e della cultura dimostrano quanta strada ci sia ancora da fare in questa direzione.
Ci aspettiamo, quindi, non solo che l’intervento pubblico per il settore sia riportato ad un livello dignitoso, ma che siano attuate riforme coraggiose del sistema di tutela e produzione culturale e vengano create le condizioni per una più attiva collaborazione con i privati nella gestione. Per affermare una nuova visione del progresso e una strategia per lo sviluppo nella quale il nostro capitale culturale torni ad essere componente fondamentale della vita dei cittadini e dell’economia.
Invertiamo, dunque, la rotta per frenare il degrado economico e civile e realizzare, con la diffusione dei saperi, il sogno di un’Italia più bella e più giusta.
Roberto Grossi, Presidente Federculture
Aurelio Regina, Presidente Fondazione Musica per Roma e Vice Presidente Confindustria per lo Sviluppo Economico